Prima di addentrarci nel magico mondo dei risotti vegani e dei 6 consigli di cui non puoi fare a meno, prepariamoci per il prossimo webinar gratuito che si terrà mercoledì 28 settembre alle ore 20:30. Cucineremo insieme la paella vegan: brodo salva gas, soffritto di alghe e paella da chef saranno gli argomenti di questo nuovo percorso gratuito della nostra scuola di cucina online.
CLICCA QUI PER ISCRIVERTI SUBITO!
In questo articolo, ti porterò a fare un viaggio nella storia e nella tradizione culinaria spagnole, per capire quali sono i passaggi chiave a cui prestare attenzione per deliziare i tuoi ospiti anche con una paella vegan.
Partiamo!
LA TRADIZIONE DELLA PAELLA.
Pietro Scortechini Paolomoni, nel suo libro Paella spiegata agli italiani, afferma:
la storia di un piatto è metà del suo sapore: se la ignori, non sa allo stesso modo.
Ecco perché è importante capire la storia che si nasconde dietro a questo piatto tradizionale spagnolo.
Non esiste un’unica paella, ma mille mila paelle. Ognuna appartenente all’immaginario personale di tradizioni e storie. E attenzione, perché l’unica con un rigido disciplinare di ingredienti è quella valenciana.
Da dove arriva il nome paella?
Non c’è certezza in merito. La più verosimile è che arrivi dal latino padella, per via della cottura. E qui nasce la confusione: paella è il nome del piatto o il nome del recipiente in cui viene cotta? In realtà, il recipiente viene anche chiamato paellera.
Esiste anche una leggenda. Sembra che paella arrivi dall’espressione por ella o para ella, ovvero per lei. La leggenda narra di un giovane che preparò il piatto per sedurre la sua bella, e da lì il nome. Chissà quale sarà la verità? Forse quel giovane era il nostro Davidino da Venegòn emigrato in Spagna? Ahahah (battuta per gli appassionati del nostro Calendario dell’Avvento).
Il termine paella compare nella lingua spagnola solo a partire dall’800. Infatti, prima veniva chiamata riso alla valenciana, ovvero la regione in cui nata la paella, precisamente all’Albufera, luogo dove dai tempi dei romani si coltivava riso.
Non sappiamo in che momento nacque esattamente questo piatto, ma sappiamo che dal Basso Medioevo si cuocevano risi e carni insieme e nel XVIII secolo il francescano Josep Orri, nel suo Avisos y instrucciones per lo principiant Cuyner, ci dà una prima ricetta della paella. Ed ecco che diventa consuetudine culinaria.
Questo risale all’800 momento in cui compaiono anche le padelle in metallo, fondamentale per la cottura precisa di questo piatto. Con il boom turistico degli anni ’60 la paella conquista tutte le zone della Spagna e si espande fuori dal paese.
QUALE RISO SCEGLIERE PER LA PAELLA?
Senza riso la paella non si può fare. Ma non un riso qualunque, bensì una varietà ben specifica.
Il riso, insieme a mais e frumento, è uno dei tre pilastri sui quali poggia l’alimentazione mondiale. Vi ricordate cosa diceva la giornalista e food editor Licia Granello?
Il riso costituisce i due terzi dell’alimentazione quotidiana per tre miliardi di persone e dà lavoro – e quindi da mangiare – a quasi un miliardo. Non fermatevi alla solita confezione sul solito scaffale. Curiosate tra Venere e Basmati, Vialoni e Selvaggi. Provate l’ebrezza del riso invecchiato per dar modo all’amido di maturare, così da garantire chicchi sgranati e dal cuore croccante nelle ricette più golose.
Da Nord a Sud, da Est a Ovest, troviamo un’infinità di paesi nei quali c’è almeno un piatto tradizionale a base di riso. Pensiamo al nostro risotto, per esempio, oppure ai piatti orientali (dove il riso abbonda) oppure alla nostra paella.
Ma qual è il giusto chicco da usare secondo la tradizione spagnola e per ottenere un risultato uguale all’originale?
Ci sono 3 varietà di riso che possiamo usare per la paella, di cui uno il principale: è importantissimo che i chicchi rimangano isolati in cottura e non si amalgamino. Si usa quindi un chicco di granulometria media tra i 5 e 6 mm di lunghezza. Troviamo queste caratteristiche nel riso bomba, riso bahía e riso sénia. Vediamole nel dettaglio.
RISO BOMBA
È formato da un chicco rotondo di dimensioni medie e coltivato come DOC in tre aree della Spagna:
- nelle aree umide di Valencia (arroz de Valencia);
- nella comunità di Murcia (arroz de Calasparra);
- e nel delta del fiume Ebro, nella bassa Catalogna al confine con la comunità valenziana (arroz del Delta del Ebro). Pensate che questo riso è originario del sud-est asiatico e si diffuse in Spagna verso il XIII secolo, durante la dominazione musulmana. È proprio dal nome arabo del riso al-ruzz che deriva la parola spagnola arróz, cioè riso.
Delta del Fiume Ebro
Ma perché è adatto per la paella?
Contiene basse quantità di amilosio e amilopectina che fanno sì che non si apra durante la cottura, né si attacchi facilmente al fondo o ai bordi della padella. Assorbe una quantità di acqua doppia o tripla rispetto al suo volume. Insieme all’acqua, assorbe anche i sapori degli ingredienti. Ecco perché il brodo è fondamentale.
Sapete perché costa di più rispetto ad altre varietà di riso? Perché ha una scarsa resa e una ridotta estensione geografica di coltivazione. In Spagna lo trovate tra i 2,5 e i 5 euro al chilo, mentre all’estero arriva fino a 10 euro al chilo (come quello che abbiamo trovato in Italia).
RISO BAHIA
In Spagna se ne riconosco due DOC:
- arroz de Valencia;
- arroz del Delta del Ebro.
Per questo riso, il rapporto amilosio/amilopectina si inclina a favore di quest’ultima. È stato introdotto in Spagna negli anni ’60 ed è molto simile al Bomba e padre del sénia.
RISO SENIA
Anche il sénia ha la capacità di assorbire acqua senza diventare colloso, anche se è la varietà meno resistente delle tre. Attenzione, perché scuoce più facilmente, quindi se siete alle prime armi con la paella usate il bomba e andrete sul sicuro.
Questa varietà fu lanciata negli anni ’80 e venne sviluppata a partire dal riso bahía e ha poi lasciato il posto ai suoi sottotipi con rese agricole maggiori.
E ora sorge la domanda: ma possiamo usare un chicco italiano per fare la paella?
Se proprio proprio non riuscite a trovare uno di questi tre chicchi per la vostra paella, potete orientarvi su un vialone nano per via del chicco rotondo, della quantità di amido contenuta e della capacità di assorbire i liquidi. Però, c’è un però: se la cucinate al ristorante o per un evento speciale, fate uno sforzo e acquistate il Bomba perché è una “bomba” e fa davvero la differenza. Se invece la preparate per voi per uso quotidiano, allora buttatevi pure sul vialone nano. Nel webinar gratuito del 28 settembre useremo il riso Bomba originale.
LA PAELLA VEGAN TI ASPETTA, CLICCA QUI PER ISCRIVERTI AL WEBINAR GRATUITO
CHE DIFFERENZA C’È TRA PAELLA E RISOTTO?
Attenzione perché la differenza è tanta e non possiamo sbagliarci né confondere le due preparazioni, a partire dal chicco di riso che va scelto della giusta qualità.
Infatti, per la paella la percentuale nel chicco di amilopectina e amilosio deve essere bassa, questo per permettere al chicco di assorbire molta acqua e rimanere sgranato in cottura (come per il riso Bomba). Al contrario, nel risotto tradizionale italiano questa percentuale nel chicco deve essere alta (come nel Carnaroli) così che si possa ottenere un risotto con chicchi compatti che rilasciano l’amido nella quantità necessaria alla mantecatura.
Per quanto riguarda la cottura, ecco qui le caratteristiche fondamentali che differenziano la paella da un risotto:
- non si tosta il riso;
- non si bagna con il vino;
- non si muove il riso in cottura;
- non si va a mantecare;
- si lascia attaccare leggermente il riso sul fondo.
Quest’ultima caratteristica è ciò che rende la paella unica e ciò che la differenzia da un semplice riso saltato con verdure o da un risotto allo zafferano (come questo in foto). In valenziano questa tecnica viene chiamata socarrat, ovvero la caramellizzazione del fondo del riso nella paellera, una tenue bruciatura (mi raccomando, tenue). Per un valenciano doc la paella è completa solo se il cuoco riesce a ricreare questa magia. Ed è la parte più complicata di una paella, perché tra il socarrat e la bruciatura il passo è breve (attenzione perché la bruciatura genera acrilammide, una sostanza cancerogena).
LA PADELLA FA LA DIFFERENZA?
La padella è importante tanto quanto gli ingredienti: la paellera è rotonda in acciaio o ghisa, un’ampia superficie e scarsa profondità. Questo serve per avere il giusto coefficiente di evaporazione per una buona paella.
Se non hai una paellera tradizionale a portata di mano, puoi usare una padella simile nella quale puoi cuocere uno strado di riso spesso 1 o 1,5 cm (ingredienti esclusi).
Chef Davide nel webinar gratuito userà la padella Olav, con uno strato interno di rame che permette un ottimo scambio termico e calore a sufficienza per la cottura della paella.
BRODO SALVA GAS & SOFFRITTO DI ALGHE
Durante il percorso gratuito che ci condurrà al nostro webinar del 28 settembre, imparerai anche a cucinare il brodo salva gas. Mi raccomando, la regola del “un brodo vale l’altro” non funziona per paella e risotti!
In questo caso, inoltre, abbiamo pensato di proporvi un brodo con una corta cottura, così che venga pronto in fretta e abbassi i consumi dei fornelli.
Inoltre, vedremo anche il soffritto di alghe, che darà il tocco mare alla nostra paella. In questo caso, useremo un’alga particolare che si
chiama Cochayuyo, un presidio Slow Food del Cile. La trovate comodamente online nel negozio Pappati La Vita. Ve la consigliamo caldamente perché ha un gusto e una consistenza uniche e andranno a dare un tocco in più alla vostra paella.
CONCLUSIONI
Nei giorni scorsi qualche buontempone ha esordito nei commenti sui social dicendo: “Ma se non ci sono carne e pesce non può essere chiamata paellaaaaa!!!”. Ahhh che santa pazienza! Allora, partiamo da un principio: in Spagna solo quella che viene chiamata Paella Valenciana è sottoposto a disciplinare. Questo significa che l’Assessorato all’Agricoltura del Governo della Comunità Valenciana ha messo delle regole alla parola Paella Valenciana. Ovvero degli ingredienti standard, che sono: riso, acqua, olio extravergine d’oliva, pollo, coniglio, pomodoro, taccola, fagiolo garrofón, sale e zafferano. A questi 10 ingredienti chiave si possono aggiungere: anatra, lumache, carciofo, aglio, paprica e rosmarino. (ahhh, poveri animali!)
Ti aspettavi il pesce vero? Ebbene no. In quella Valenciana di pesce non c’è traccia. Ma se NON la chiami valenciana, ma semplicemente paella, allora puoi metterci quello che vuoi. La troverai dunque vegetariana, di pesce, mista (carne e pesce)… insomma, come più ti aggrada (noi ovviamente speriamo solo vegan). Come quella che cucineremo durante il webinar gratuito.
Grazie per avermi letto fin qui! Se vuoi puoi condividere l’articolo con le persone che sono interessante a questo argomento!
Ti aspettiamo ai fornelli per dei secondi piatti vegani strepitosi!
Tiziana Caretti
Scrivi un commento