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Oggi vi racconto una storia. O forse due. Quella del Pandolce Genovese e quella del Panettone. Ma solo se fate i bravi…
Mi hanno sempre affascinato tantissimo i racconti delle tradizioni culinarie perché rivelano sempre una morale o degli aspetti di condivisione e cambiamento tipici dell’essere umano.
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PANETTONE E PANDORO TRA LEGGENDA E STORIA
Per il Panettone e il Pandoro abbiamo diverse leggende che si perdono nella notte dei secoli. Ma solo una di queste ha fondate origini storiche ed è stata documentata dal conte Pietro Verri. Questo conte, in un suo scritto, racconta nel dettaglio la consuetudine natalizia tipicamente milanese della “Cerimonia del Ceppo”, momento in cui l’intera famiglia si riuniva attorno al focolare per assistere al simbolico atto con cui il pater familias spezzava il pane e lo condivideva coi presenti.
Nel XV secolo le corporazioni di Milano decisero che la consueta divisione tra pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) e pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca) non doveva sussistere nel giorno di Natale, quando tutti potevano consumare lo stesso pane, simbolo di uguaglianza e condivisione.
Era il “Pan de’ Sciori” o “Pan de Ton”, ovvero il pane di lusso, fatto di puro frumento e farcito con burro, zucchero e zibibbo. Vi ricordate in che ricetta viene usato lo zibibbo tra gli ingredienti tradizionali? No? Precisamente nel Pandolce Genovese. L’abbiamo già cucinato insieme tantissime volte!
Chef, ma non abbiamo cucinato nessun Pandolce insieme ultimamente…
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Comunque, a vedere oggi gli ingredienti del Panettone non lo chiameremmo di sicuro pane di lusso. Ma proviamo a calarci nei panni di una persona che viveva nel XV secolo: puro frumento, burro e zucchero. Che ingredienti introvabili! Oggi sono tra gli ingredienti che costano meno al supermercato ma non è sempre stato così!
Comunque, tra leggende, aneddoti e avvenimenti storici (pensate che il Panettone era particolarmente amato anche dagli Austriaci che occuparono Milano nel XIX secolo!), l’identità e la classica ricetta del Panettone sono rimaste invariate per oltre 500 anni, così come l’acquolina che è in grado di suscitare in tutti quelli che ne mangiano una fetta… e poi un’altra… e poi un’altra ancora!
Ma chi è questo Tony a cui il Panettone fa riferimento? E chi è Dory? E chi è Rony?
Leggende diverse parlano di questi personaggi… ma te le racconterò nei prossimi giorni se ti iscriverai alla nostra newsletter.
COS’È IL PANDOLCE GENOVESE?
La sua storia si perde nella notte dei tempi, ben prima che il panettone facesse la sua comparsa, come racconta Vittorio Russo Delmonte nel suo sito A Mae Zena. Alcuni storici fanno risalire l’origine di questo pane all’antico Egitto e alla Grecia, dove era diffuso un dolce simile ma fatto con il miele.
Lo storico Luigi Augusto Cervetto sostiene che, dati i rapporti commerciali con questi paesi, i genovesi potrebbero aver tratto ispirazione dalla Persia dove il suddito più giovane (ma in grado di camminare), all’alba di Capodanno, porgeva al Sovrano un grande pane dolce a base di canditi, miele e mele da dividere fra i suoi commensali. In effetti anche a Genova il pandolce, chiamato anche Pan co-o zebibbo (ovvero il vino dolce Moscato) veniva portato in tavola dal più giovane della famiglia e, con gesto beneaugurante, privato del sovrastante ramoscello di alloro.
Secondo la tradizione il Capofamiglia affettava il pandolce e la madre canticchiava una filastrocca:
“Vitta lunga con sto’ pan!
Prego a tutti tanta salute,
comme ancheu, anche duman,
affettalu chi assettae,
da mangialu in santa paxe,
co- i figgeu grandi e piccin,
co- i parenti e co- i vexin,
tutti i anni che vegnia’,
cumme spero Dio vurria’.”
Ovvero, per chi non conosce il genovese,“vita lunga con questo pane! Prego per tutti tanta salute, come oggi, così domani (si possa) tagliarlo qui seduti, per mangiarlo in santa pace coi bambini, grandi e piccoli, coi parenti e coi vicini, tutti gli anni che verranno, come spero dio vorrà”.
Alla moglie spettava l’assaggio e poi veniva distribuita una porzione per ciascun invitato, dopo di che, visionate le letterine dei bambini, gli stessi, in piedi sulla sedia, recitavano la loro poesia. Due fette però venivano accuratamente conservate a parte da offrire una al primo viandante di passaggio e l’altra da consumarsi il 3 febbraio durante la festa di San Biagio, protettore della gola.
A quel tempo, tolte forse Venezia e Bisanzio, non erano molte le città in Europa sulle cui tavole si potevano gustare canditi, uvetta e frutta secca. A livello gastronomico, Genova e Venezia si contesero a lungo il monopolio di erbe e spezie, ma di rilevante importanza fu la scoperta della canditura della frutta e più in generale dell’arte della confetteria.
Un altro evento storico che segna le avventure del nostro pandolce lo si deve all’ammiraglio Andrea Doria che, nel ‘500, indisse un concorso fra i pasticceri locali, per creare un dolce degno del matrimonio del nipote. Così venne codificato il pandolce genovese nella versione alta, affiancato poi, qualche secolo più tardi, dalla moderna versione bassa, proprio il contrario di quello che successe al panettone che nasceva basso per trovarlo invece oggi nella versione alta.
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Tiziana Caretti & Chef Davide Maffioli
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